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mercoledì 13 marzo 2013

Associazione in partecipazione

Modello contratto di associazione in partecipazione

Il contratto di associazione in partecipazione, disciplinato dall’art. 2549 c.c., è il contratto con il quale un soggetto (detto Associante) conferisce ad un altro soggetto (detto Associato) una partecipazione agli utili della propria impresa o la partecipazione ad uno o più affari.

L'Associato, d'altra parte, corrisponde all'Associante una determinata prestazione (appunto una partecipazione) normalmente lavorativa, all'Associazione purchè abbia un collegamento con l'impresa o con l'affare.

L'associazione in partecipazione, secondo la nozione che ne viene data dall'art. 2549 c.c. e la disciplina cui essa viene assoggettata negli articoli successivi, si qualifica proprio per il carattere sinallagmatico fra l'attribuzione da parte di un contraente (associante) di una quota degli utili derivanti dalla gestione di una sua impresa e di un suo affare all'altro (associato) e l'apporto, da quest'ultimo conferito, che può essere di qualsiasi natura purché avente - come nella specie secondo l'accertamento della Corte di merito - carattere strumentale per l'esercizio di quell'impresa o per lo svolgimento di quell'affare. Nell'associazione in partecipazione non si ha la formazione di un soggetto nuovo né la costituzione di un patrimonio autonomo né la comunanza dell'affare o dell'impresa; l'affare o l'impresa rimane di esclusiva pertinenza dell'associante così come a lui soltanto continuano ad appartenere tutti i mezzi per la conduzione dell'uno o dell'altra e tutti i relativi poteri di gestione e di decisione (art. 2552 c.c.). Pertanto è soltanto l'associante che acquista i diritti ed assume le obbligazioni nei confronti dei terzi (art. 2551 c.c.), che fa propri gli utili e subisce le perdite senza alcuna partecipazione - s'intende - diretta ed immediata dell'associato negli uni e negli altri (e in esplicazione, appunto, di tale principio l'art. 1559 stabilisce che le perdite che colpiscono l'associato non possono superare il valore del suo apporto).

L'associazione in partecipazione crea un rapporto interno, spesso destinato a rimanere occulto, fra l'associante e l'associato e la partecipazione di quest'ultimo ai risultati dell'impresa o dell'affare si esplica nelle forme dell'obbligazione e del diritto di credito nei confronti dell'associante. Precisamente, secondo che i risultati siano passivi o positivi, l'associato diventa obbligato a non ripetere dall'associante l'apporto conferito o creditore dell'associante quanto alla restituzione di detto apporto e alla liquidazione della quota convenuta degli utili.

Appunto perché l'associato non ha un diritto immediato e diretto sugli utili, bensì un mero diritto personale di ottenere dall'associante l'adempimento dell'obbligazione di corrispondergli la detta quota, egli, salvo che non sia stabilito diversamente del contratto o da un accordo successivo (art. 1197 c.c.), non può pretendere (né può essere tenuto ad accertare) che gli sia attribuita, a tale titolo, una parte dei beni eventualmente prodotti con l'attività associata (e che, inoltre, lo apporto gli sia restituito in natura), bensì soltanto che gli sia liquidata e pagata una somma di denaro corrispondente alla quota spettantegli di utili e all'apporto.

Spesso il contratto di associazione in partecipazione cela un contratto di lavoro a tempo determinato per cui al fine di accertare la natura subordinata o autonoma di un rapporto di lavoro, il giudice eventualmente adito deve in primo luogo aver riguardo alla volontà manifestata dalle parti, cosicché, se queste hanno espressamente dichiarato di voler escludere la subordinazione o hanno qualificato la collaborazione con il nomen iuris di un istituto di per sé incompatibile con essa (ad esempio, contratto di associazione in partecipazione), sarà possibile pervenire a una diversa qualificazione giuridica solo qualora sia dimostrato che la subordinazione si è di fatto realizzata nella fase dell'esecuzione.

Ad esempio la giurisprudenza ha ritenuto configurarsi un rapporto in associazione in partecipazione e non già un rapporto di lavoro subordinato, tra l'agenzia immobiliare ed la ricorrente in favore della quale sia prevista la corresponsione di un compenso pari al 5% degli utili del ramo di azienda. Nella specie (Corte d' App. di Firenze Sez. lavoro, 10.04.2012), peraltro, l'associazione in partecipazione risultava comprovata dalla disponibilità delle chiavi da parte della ricorrente, dalla libertà della medesima di programmare la propria giornata lavorativa, dalla possibilità di instaurare trattative con i clienti, dalla possibilità di scegliere autonomamente gli orari nei quali accompagnare i clienti a visitare gli appartamenti. Orbene, la prova di tutte queste circostanze esclude la configurabilità del rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze dell'agenzia immobiliare, a nulla rilevando che il titolare dell'agenzia predisponga la modulistica da utilizzare nell'esecuzione dell'attività lavorativa, impartisca direttive a carattere generale ovvero inviti la ricorrente ad occuparsi di un determinato cliente piuttosto che di un altro.