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giovedì 17 maggio 2012

Nel caso in cui la nuova concessione abbia inizio nel corso di una causa di lavoro per licenziamento, vertente tra il precedente concessionario ed un dipendente, si verifica una ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto controverso - Cass., sent. n. 13458 del 09.10.2000

Svolgimento del processo

Con ricorso del 28.1.1995 al Pretore del lavoro di Foggia, la G. s.r.l., esercente attività di riscossione di tributi, conveniva in giudizio il dipendente F. Leonardo, addetto allo sportello di Cerignola, ed esponeva: che, a seguito di ristrutturazione dei servizi, il F. era stato trasferito a Foggia; che il trasferimento era stato impugnato con due distinti ricorsi ex art. 700 c.p.c. dal dipendente, il quale, richiamando il disposto degli articoli 107 CCNL e 33 legge n. 104 del 1992, aveva fatto valere la mancanza di consenso al trasferimento medesimo; che la società, ravvisando nel comportamento del F. un rifiuto al trasferimento, con telegramma in data 26.1.1995, gli aveva comunicato il suo licenziamento, con efficacia dalla cessazione dello stato di malattia in corso. Tanto premesso, la società chiedeva che fosse accertata la legittimità del recesso.

Il F. si costituiva e faceva presente di aver già impugnato il licenziamento con ricorso del 5.4.1995. Chiedeva quindi che venisse accertata la nullità del recesso, deducendo: che il trasferimento era illegittimo a norma dell'art. 107 CCNL, il quale subordina il trasferimento del lavoratore, che abbia compiuto 45 anni di età ed abbia maturato almeno 22 anni di anzianità al consenso dell'interessato; che il trasferimento era illegittimo, anche a norma delle disposizioni della legge n. 104 del 1992, le quali condizionano al consenso del lavoratore gravemente ammalato il suo trasferimento; che il licenziamento era nullo, in quanto il telegramma non costituiva mezzo idoneo a determinare l'estinzione del rapporto a norma dell'art. 123 CCNL; che in ogni caso non sussistevano le ragioni organizzative che impedivano alla società di mantenerlo nell'originario posto di lavoro.

Il Pretore disponeva la riunione delle varie cause pendenti.

All'udienza del 23.5.1997 la soc. G. chiedeva al Pretore l'autorizzazione a chiamare in causa la GE. s.p.a., società alla quale in data 1.3.1995 era stata affidata la gestione del servizio di riscossione tributi nella provincia di Foggia, assumendo che detta società era succeduta in corso di causa nel rapporto controverso.

La GE. s.p.a. si costituiva in giudizio eccependo l'irritualità della propria chiamata per il mancato rispetto dei termini di cui agli articoli 269 e 420 c.p.c. e deducendo comunque la propria estraneità al giudizio, per l'inapplicabilità degli articoli 111 c.p.c. e 2112 cod. civ.

Le cause aventi ad oggetto la legittimità del licenziamento venivano separate dal Pretore e decise con sentenza in data 15.7.1997. Con detto provvedimento il giudice di primo grado dichiarava l'illegittimità del licenziamento, ordinava la reintegrazione del F. nel posto di lavoro, condannava la SOC. G. alla corresponsione delle retribuzioni non corrisposte ed estrometteva dal giudizio la soc. GE..

Avverso detta decisione proponevano appello principale la G. s.r.l. e appello incidentale il F. e la GE. s.p.a.

Il Tribunale di Foggia, con la sentenza qui impugnata, respingeva tutti gli appelli e confermava la sentenza del Pretore.

Quanto alla posizione processuale della soc. GE., i giudici del gravame osservavano che questa società non era succeduta alla G. né a titolo universale, né a titolo particolare, atteso che nella specie non si era verificato alcun trasferimento d'azienda a norma dell'art. 2112 c.c. e che l'art. 23 del DPR n. 43 del 1988 non prevedeva la successione del nuovo esattore nei rapporti di lavoro del precedente gestore. limitandosi detta norma ad attribuire al lavoratore avente una certa anzianità di servizio il diritto ad essere mantenuto in servizio dal concessionario subentrante.

Rilevavano, quindi, che la GE. poteva essere chiamata in giudizio solo al fine di renderle opponibile l'accertamento relativo alla legittimità del licenziamento del dipendente e che, attraverso tale chiamata, non poteva proporsi la domanda di condanna all'adempimento dell'obbligo di cui all'art. 23 DPR n. 43 del 1988, in quanto nuova e diversa da quella proposta con l'instaurazione del giudizio.

Ritenevano, pertanto, che, trattandosi nella specie di chiamata di terzo ad istanza di parte, tanto la G. che il F. erano decaduti ex art. 269 e 420 c.p.c. dalla facoltà di proporre l'istanza, per cui detta società doveva essere comunque estromessa dal giudizio.

Quanto al licenziamento del F., i giudici dell'appello osservavano che esso era illegittimo, in quanto il dissenso del dipendente al trasferimento, manifestatosi con i due ricorsi d'urgenza al Pretore e fondato su precise norme contrattuali espressamente invocate, non costituiva in "rifiuto" al trasferimento medesimo, come invece erroneamente inteso dalla G.. Rilevavano, inoltre, che l'assenza ingiustificata dal lavoro nel periodo dal 27.10.1994 al 15.11.1994 non era stata contestata al F. come motivo di licenziamento. Affermavano, comunque che anche il telegramma costituiva valida forma scritta di comunicazione del licenziamento.

I giudici dell'appello ritenevano, infine, che l'ordine di reintegrazione doveva essere pronunciato nei confronti della soc. G. e non nei confronti della soc. GE., in quanto non vi era stata automatica successione della seconda società nel rapporto di lavoro intrattenuto dal F. con la prima; né a diversa conclusione poteva indurre il fatto che la GE. nel marzo 1995 aveva corrisposto la retribuzione a detto lavoratore, posto che all'epoca era ancora efficace il provvedimento di licenziamento.

Avverso detta sentenza la soc. G. a.r.l. ha proposto ricorso per cassazione sostenuto da tre motivi. La soc. GE. s.p.a. e F. Leonardo resistono con controricorso. Il F. ha proposto a sua volta ricorso incidentale condizionato sostenuto da due motivi e illustrato da memoria.

Motivi della decisione

Preliminarmente deve essere disposta la riunione dei ricorsi a norma dell'art. 335 c.p.c., trattandosi di impugnazioni proposte avverso la stessa sentenza.

Con il primo motivo del ricorso principale, denunciando violazione degli articoli 2112 e 2909 c.c., dell'art. 23 DPR 20 gennaio 1988 n. 43, degli articoli 43, 106. 111, 112, 269, 324, 345, 346, 420 e 436 c.p.c., nonché vizi di motivazione, la società G. deduce, quanto alla chiamata in causa della GE.: che, avendo il Pretore affermato che la chiamata in causa della GE. é stata chiesta e disposta ai sensi dell'art. 111 c.p.c., e non avendo le parti impugnato tale statuizione, sul punto si è formato il giudicato interno, di modo che non è più contestabile che in corso di causa si sia verificata una successione a titolo particolare nel rapporto controverso, che, in ogni caso, l'art. 23 della legge n. 43 del 19'88 non si limita ad attribuire ai lavoratori il diritto a chiedere il mantenimento in servizio presso il nuovo concessionario, ma fissa l'obbligo di quest'ultimo di mantenere in servizio i dipendenti del precedente concessionario per il solo fatto che questi si trovino nella situazione delineata dalla norma;

che la stessa GE. ha ammesso tale successione nei rapporti di lavoro, avendo provveduto al pagamento degli stipendi ed alla predisposizione dei mod. 101 in favore di detti dipendenti e che comunque lo stesso F., anche in corso di causa, ha espresso la volontà di essere mantenuto in servizio presso la GE. senza soluzione di continuità;

che, mentre deve ritenersi illegittima l'estromissione dal giudizio della GE., tutti gli effetti della sentenza resa inter partes vanno ritenuti vincolanti nei confronti della società chiamata in causa, ivi compreso l'ordine di reintegrazione nel posto di lavoro, cosi come deve essere ritenuta ammissibile la domanda di condanna della stessa GE. all'adempimento dell'obbligo ex art. 23 DPR n. 43 del 1988, avendo quest'ultima società la posizione di successore a titolo particolare nel diritto controverso;

che non vi era stata alcuna decadenza dalla facoltà di chiamare in causa la GE. in quanto, per costante giurisprudenza, la chiamata ex art. 111 c.p.c. può essere ritualmente e validamente effettuata durante tutto il corso del giudizio di primo grado.

Con il secondo motivo, denunciando violazione degli articoli 1362, 1371, 1463, 2119, 2730, 2732, 2733, 2735 c.c., 23 DPR n. 43 del 1988, 3 e 6 legge n. 604 del 1966, 18 legge n. 300 del 1970, 83, 111, 112 c.p.c., nonché vizi di motivazione, la ricorrente principale, quanto al licenziamento intimato al F., deduce:

che il rifiuto del dipendente di accettare il trasferimento era desumibile dai ricorsi ex art. 700 c.p.c., nei quali erano contenute affermazioni aventi carattere confessorio e piena efficacia probatoria, ancorché i relativi atti fossero sottoscritti dal solo difensore, atteso il mandato difensivo apposto dal F. a margine degli atti predetti;

che il richiamo da parte del lavoratore all'art. 107 CCNL era del tutto irrilevante ai fini di un preteso ridimensionamento delle predette dichiarazioni confessorie;

che, una volta riconosciuta efficacia confessoria alle dichiarazioni contenute nei due ricorsi, perdevano rilevanza circostanze quali l'invio di certificati medici attestanti lo stato di malattia e la stessa assenza ingiustificata dal lavoro dal 27 ottobre al 15 novembre 1994.

Con il terzo motivo, denunciando ancora violazione degli articoli 1463, 2119, 2448, 2449, 2497 c.c., 23 DPR n. 43 del 1988, 18 legge n. 300 del 1970, 111 e 112 c.p.c., nonché vizi di motivazione, la ricorrente principale, quanto all'ordine di reintegrazione, osserva:

che, essendo stata la GE. chiamata regolarmente in causa ai sensi dell'art. 111 c.p.c., in quanto successore a titolo particolare nel rapporto controverso, e avendo il lavoratore proposto apposita istanza nei confronti della GE. medesima, la reintegrazione andava disposta nei confronti di quest'ultima, avuto anche riguardo alla circostanza che gli effetti della sentenza impugnata si estendevano automaticamente alla chiamata in causa, senza bisogno di esperire autonoma e diversa azione;

che la perdita della concessione governativa e la conseguente messa in liquidazione della G. aveva comunque determinato l'impossibilità per la società di proseguire la normale attività di riscossione dei tributi e quindi l'impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa del F..

Con il primo motivo del ricorso incidentale condizionato F. Leonardo, denunciando violazione degli articoli 1352, 2118 e 2705 c.c., nonché violazione dell'art. 123 del CCNL, deduce che il licenziamento andava dichiarato nullo per difetto di forma, in quanto intimato a mezzo telegramma, non equiparabile ad una scrittura privata in mancanza di prova contraria, nella specie non fornita dal datore di lavoro.

Con il secondo motivo, denunciando omessa motivazione, il ricorrente incidentale lamenta che il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare nullo il licenziamento, in quanto avente carattere ritorsivo contro l'azione giudiziaria proposta dal lavoratore per far valere l'illegittimità del trasferimento.

Nell'ordine logico delle questioni deve essere esaminato per primo il secondo motivo del ricorso principale, con il quale la soc. G. censura la sentenza impugnata nella parte in cui afferma la illegittimità del licenziamento del F..

La doglianza non è meritevole di accoglimento.

La soc. G. ha giustificato il licenziamento del dipendente con il rifiuto di quest'ultimo di raggiungere la nuova sede di lavoro ed ha sostenuto che tale ingiustificato rifiuto poteva agevolmente desumersi dal tenore dei ricorsi ex art. 700 c.p.c. presentati dal lavoratore contro il provvedimento di trasferimento.

Tale argomentazione è stata motivatamente disattesa dal Tribunale di Foggia in base alla considerazione che dai due ricorsi d'urgenza era desumibile non già il rifiuto del F. di raggiungere la nuova sede di lavoro, ma soltanto il dissenso del lavoratore da un provvedimento che riteneva ingiusto, dissenso del tutto legittimo a norma dell'art. 107 CCNL e 2103 c.c. e tale da non costituire giustificato motivo di recesso.

Le censure che la soc. G. muove sul punto alla sentenza impugnata si sostanziano nell'addebitare ai giudici dell'appello di aver omesso di considerare il valore confessorio delle dichiarazioni contenute nei due atti introduttivi di giudizio, sicuramente riferibili alla parte, atteso che questa aveva apposto la propria firma in calce alla procura a margine degli atti suddetti.

Le censure sono prive di pregio, ove si consideri che il Tribunale ha espressamente preso in esame le dichiarazioni contenute nei due menzionati atti giudiziari ed ha escluso che in esse potesse ravvisarsi un rifiuto assoluto e definitivo del F. ad accettare il trasferimento. Al riguardo va ricordato che l'interpretazione del giudice del merito volta a stabilire se la dichiarazione giudiziale o stragiudiziale resa da una parte costituisca confessione, e in particolare se contenga il riconoscimento di un fatto sfavorevole al dichiarante e favorevole all'altra parte, è incensurabile in sede di legittimità se sorretta da congrua e coerente motivazione (Cass. n. 5141 del 1985, Cass. n. 3524 del 1985).

Nella specie il Tribunale ha dato ampia ragione della decisione adottata, avendo posto in rilievo, con motivazione adeguata e coerente, che il F. si era opposto al trasferimento perché ritenuto illegittimo, in quanto disposto senza il suo consenso, in spregio al disposto dell'art. 107 CCNL, mentre la società non aveva dato dimostrazione, come era suo onere, della sussistenza di valide ragioni per escludere la necessità del consenso del lavoratore trasferito.

La decisione del giudice del gravame, dunque, sul punto resiste validamente a tutte le censure di parte ricorrente.

Il primo e il terzo motivo del ricorso principale, che per la loro stretta connessione è opportuno esaminare congiuntamente, sono invece fondati.

Il Tribunale ha confermato la sentenza del Pretore, che ha estromesso dal giudizio la soc. GE. ed ha escluso la successione a titolo particolare di quest'ultima nel rapporto di lavoro del F., in base alla considerazione che l'art. 23 della legge n. 43 del 1988 non prevede affatto che nei diritti e negli obblighi del precedente concessionario, nei confronti dei lavoratori dipendenti, subentri il nuovo concessionario, limitandosi detta norma ad attribuire al lavoratore avente una certa anzianità il diritto ad essere mantenuto in servizio dal concessionario subentrante, senza soluzione di continuità, sempre che il lavoratore dichiari di volersi avvalere di un siffatto diritto. Secondo i giudici del gravame, dunque, il rapporto di lavoro che viene ad instaurarsi tra il dipendente del vecchio concessionario ed il nuovo concessionario è del tutto nuovo e diverso da quello precedente, ancorché il dipendente mantenga l'anzianità maturata con il precedente rapporto.

Le affermazioni del Tribunale non possono essere condivise.

Occorre innanzitutto premettere che il DPR 28 gennaio 1988 n. 43, innovando radicalmente in materia di servizio esattoriale, ha previsto che il servizio di riscossione delle imposte venga svolto in ciascun ambito territoriale solo da istituti di credito o società di capitali che offrano sicure garanzie di efficienza e di solvibilità, sulla base di concessioni temporanee e revocabili rilasciate dal Ministero delle Finanze.

Per il caso in cui una concessione venga affidata ad un nuovo concessionario, l'art. 23 della legge, intitolato "Mantenimento in servizio del personale in caso di cessazione della concessione", cosi dispone: "Il personale, che alla scadenza o cessazione della concessione risulti iscritto da almeno tre mesi al fondo di previdenza, ha diritto di essere mantenuto in servizio dal concessionario subentrante senza soluzione di continuità (primo comma). La disposizione del comma primo non si applica ai dipendenti che alla data dì inizio della nuova gestione abbiano compiuto sessanta anni di età e abbiano maturato il diritto alla pensione, fermo restando quanto previsto dall'art. 6 del decreto legge 22 dicembre 1981 n. 791, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1982 n. 54 (secondo comma)".

Orbene, la soluzione della controversia in esame, nell'ambito segnato dai motivi di ricorso, dipende dall'interpretazione delle disposizioni contenute nel primo comma della norma sopra trascritta, sulla base del senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e tenendo presente l'intenzione del legislatore (art. 12 Disp. sulla legge in generale).

É convincimento del Collegio che la lettera della legge, con il riferimento al "mantenimento" in servizio del dipendente "senza soluzione di continuità", deponga favorevolmente per la tesi della successione ex lege del nuovo concessionario nei rapporti di lavoro instaurati dal precedente concessionario, quando i lavoratori si trovino nelle condizioni previste dalla norma (iscrizione da almeno tre mesi al fondo di previdenza, età inferiore a sessanta anni, mancata maturazione del diritto a pensione per gli ultrasessantenni che optino per la prosecuzione del rapporto ex art. 6 legge 26 febbraio 1982 n. 54).

La volontà del legislatore, inoltre, risulta chiaramente rivolta ad evitare traumatiche cesure nel passaggio di consegne tra vecchi e nuovi concessionari, e ciò non solo per esigenze di continuità della gestione, ma anche per tutelare i diritti del personale dipendente e, soprattutto, per non disperderne il patrimonio di specifiche esperienze e competenze tecniche, maturate nel settore, la cui conservazione è interesse non solo dei nuovi concessionari, ma anche dello Stato che della loro attività si giova (cfr. Cass. n. 7449 del 1998, in motivazione).

Da quanto sopra esposto consegue che, nel caso in cui la nuova concessione abbia inizio nel corso di una causa di lavoro per licenziamento, vertente tra il precedente concessionario ed un dipendente, si verifica una ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto controverso, prevista e disciplinata dall'art. 111 c.p.c., con le ulteriori conseguenze: a) che la chiamata in causa del successore a titolo particolare non è soggetta ai termini ed alle formalità previste dagli articoli 269 e 420 c.p.c. (cfr. Cass. n. 2178 del 1974, Cass. n. 2108 del 1991); b) che la sentenza pronunciata contro le parti originarie spiega sempre i suoi effetti anche contro il successore a titolo particolare ( art. 111, ultimo comma, c.p.c.).

Nella specie la presente causa ha avuto inizio il 28 gennaio 1995, mentre la soc. GE. ha assunto la gestione del servizio di riscossione tributi nella provincia di Foggia in data 1^ marzo 1995.

Di conseguenza la soc. GE. è subentrata ex lege nel rapporto di lavoro del F., attesa la accertata illegittimità del licenziamento a questi intimato dal precedente datore di lavoro in data 26 gennaio 1995, ed è quindi succeduta a titolo particolare nel rapporto controverso di cui è causa.

Erroneamente, dunque, il Tribunale ha negato tale successine ed ha confermato l'estromissione dal giudizio della società chiamata in causa, escludendo altresì ogni effetto della sentenza nei confronti del terzo estromesso.

La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata in relazione ai motivi di ricorso accolti e la causa deve essere rinviata per un nuovo esame ad altro giudice che si atterrà al seguente principio di diritto:

"In caso di nuova concessione per la riscossione dei tributi in un de terminato ambito territoriale, il nuovo concessionario, ai sensi dell'art. 23 del DPR 28 gennaio 1988 n. 43 (Istituzione del servizio di riscossione dei tributi e di altre entrate dello Stato e di altri enti pubblici), subentra ex lege nei rapporti di lavoro instaurati dal precedente concessionario, quando i lavoratori si trovino nelle condizioni previste dalla norma citata (iscrizione da almeno tre mesi al fondo di previdenza, età inferiore a sessanta anni, mancata maturazione del diritto a pensione per gli ultrasessantenni che optino per la prosecuzione del rapporto ex art. 6 legge 26 febbraio 1982 n. 54); ne consegue che, nel caso in cui la nuova concessione abbia inizio nel corso di una causa di lavoro vertente tra il precedente concessionario ed un dipendente, si verifica una ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto controverso, prevista e disciplinata dall'art. 111 c.p.c., con le ulteriori conseguenze: a) che la chiamata in causa del successore a titolo particolare non è soggetta ai termini ed alle formalità previsti dagli articoli 269 e 420 c.p.c. per la chiamata del terzo; b) che la sentenza pronunciata contro le parti originarie spiega sempre i suoi effetti anche contro il successore a titolo particolare (art. 111, ultimo comma, c.p.c.)".

Il rigetto del secondo motivo del ricorso principale comporta l'assorbimento del ricorso incidentale, che è stato proposto dal F. condizionatamente all'accoglimento di quello della soc.

G. sulla legittimità del licenziamento.

Il giudice di rinvio provvederà anche al regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il primo ed il terzo motivo del ricorso principale e rigetta il secondo; dichiara assorbito il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese di questo giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Bari.

Cosi deciso in Roma il 29 maggio 2000